Tra il profumo del mosto e i colori del foliage, due itinerari alla scoperta di colline, vino e silenzi che sanno di casa.
Cara Matilde,
ho ricevuto le tue foto — quelle della vostra escursione a Terni, dopo aver letto la mia “Lettera da Terni, città dalle due anime”.
Le ho guardate una per una, lentamente, come si sfoglia un ricordo che profuma ancora di aria fresca.
Hai colto la luce giusta, quella che si posa sulle pietre e non le giudica.
Terni ti è rimasta addosso, vero? Lo si capisce da come Filippo ti guarda in quella foto davanti alla Cascata delle Marmore: c’è la stessa meraviglia che avevamo noi, la prima volta.
E così, vedendo quelle immagini, mi è tornata la voglia di scriverti ancora — di proseguire il nostro dialogo tra foglie e silenzi, tra vino e strade che profumano di autunno.
Ti scrivo in questi giorni in cui l’Umbria sembra trattenere il respiro, come in attesa di un segreto. Le colline hanno cambiato voce, il verde si è fatto rame, e l’aria profuma di legna e mosto. È una musica lenta, la stessa che ascoltavamo anni fa, quella che ti prende senza fare rumore e ti resta addosso.
L’estate si è chiusa con una di quelle notizie che scaldano il cuore: Rebecca si sposa! Non ti nascondo l’emozione che mi attraversa ogni volta che lo dico. So che anche tu sorriderai, immaginando i preparativi, le prove, la scelta dell’abito. Mi aspetta un periodo pieno, forse caotico, ma prima di lasciarmi travolgere volevo scriverti — e proporti una piccola fuga, solo noi quattro.
Un weekend di foliage in Umbria, tu e Filippo, io e Giovanni. Niente programmi rigidi, solo lentezza, un po’ di vino e la macchina fotografica. Mi è tornato in mente quando, anni fa, abbiamo passato un intero pomeriggio a inseguire la luce perfetta in un campo di girasoli. Ti ricordi? Tu ridevi, Filippo si spazientiva, e alla fine la foto migliore era quella sfocata, con il vento nei capelli.
Ecco, io voglio un weekend così: imperfetto, spontaneo, pieno di respiro.
Ho immaginato due percorsi — uno che sale verso Perugia, tra borghi e vigne, e uno che scende nel Ternano, dove l’acqua si confonde con la pietra. Due anime della stessa terra, due modi diversi di camminare nel tempo.
Il nord dell’Umbria, dove il foliage profuma di vino e silenzio
Qualche anno fa, eravamo alla fine di ottobre, con Giovanni avevamo deciso di fare una gita verso il Trasimeno. Ricordo bene quel sabato mattina: il lago era immobile, il cielo color perla e le colline del Trasimeno si specchiavano nell’acqua con un pudore antico. Ci fermammo a Passignano, solo per un caffè, ma finimmo per restare quasi un’ora a guardare le foglie che galleggiavano vicino al molo. Giovanni mi disse, ridendo, che anche la malinconia può essere fotogenica, e io scattai una foto che ancora oggi tengo appesa nello studio.
L’autunno lì ha un ritmo suo, fatto di silenzi e di riflessi che si ripetono all’infinito, come se il lago respirasse con te. Da lì ci spostammo verso Città di Castello, seguendo strade che si arrampicano tra ulivi e vigne. La campagna era un mosaico di colori caldi, e nel pomeriggio arrivammo a Montone, un borgo che sembra sospeso tra medioevo e sogno.
Era il periodo della Festa del Bosco, e l’aria profumava di castagne arrostite, vino novello e legna bagnata. Le vie erano un intreccio di bancarelle, risate e suoni di fisarmoniche, e per un attimo ci parve di camminare dentro un quadro.
Ed è lì che scoprimmo la Taverna del Verziere, un luogo che resta nel cuore. Ricordo ancora l’inizio della cena: prosciutto casereccio tagliato al coltello, pane caldo e vino rosso. Poi piatti che profumavano di Umbria vera — funghi, tartufo, carni succose — serviti con gentilezza e un sorriso sincero.
E quella terrazza, Matilde… una vista che toglie il fiato. Il crepuscolo scendeva lento sui tetti e noi restammo in silenzio, come se le parole potessero disturbare la perfezione di quell’istante. Giovanni, guardando il cielo, mi disse piano:
“Se dovessi disegnare la parola autunno, la farei così.”
E io, con un sorriso, capii che non servivano altre parole.
Da lì ci spostammo verso Città di Castello, seguendo strade che si arrampicano tra ulivi e vigne. La campagna era un mosaico di colori caldi, e nel pomeriggio arrivammo a Montone, un borgo che sembra sospeso tra medioevo e sogno. È uno dei borghi più belli d’Italia, e lo si percepisce da subito: non solo per la bellezza delle sue pietre o per le terrazze che si affacciano sui colli, ma per la cura discreta con cui qui si accoglie chi arriva. Ed è lì che scoprimmo la Taverna del Verziere. Ricordo ancora l’inizio della cena: prosciutto casereccio tagliato al coltello, pane caldo e vino rosso. Poi piatti che profumavano di Umbria vera: funghi, tartufo, carni succose e presentazioni curate con rispetto e gusto.
E quella terrazza, Matilde… una vista che toglie il fiato. Il crepuscolo scendeva lento sui tetti e noi restammo in silenzio, come se le parole potessero disturbare la perfezione di quell’istante.
Ricordo che Giovanni, mentre il fuoco scoppiettava nel camino, mi disse piano: “Se dovessi disegnare la parola autunno, la farei così.”
E io, con un sorriso, capii che non servivano altre parole.
Il nostro itinerario alla scoperta del foliage umbro ci porta ad Assisi, dove la spiritualità si intreccia con la natura. I sentieri del Monte Subasio, in questo periodo, sono un tappeto di foglie e di luce. Ricordo che camminavamo piano, con l’aria fresca che profumava di erba e di resina, e ogni tanto ci fermavamo per guardare la valle.
Il Bosco di San Francesco, ai piedi della Basilica, è la tappa più intensa: il silenzio è così denso che sembra di poterlo toccare. E’ lì che Giovanni prese la mia mano e disse che capiva realmente il senso della parola: “gratitudine”.
Da Assisi proseguiamo per la strada che porta a Rasiglia, la piccola Venezia dell’Umbria. L’ acqua che scorre tra le pietre, i bambini che lanciano noci come barche. Sono sicura che ameresti questo luogo, Matilde: un borgo che sembra nato per chi ama osservare.
Dalì ci sposteremo a Bevagna, dove il paesaggio si apre in un’armonia di vigne e colline dorate.
Vedrai, Matilde, la Tenuta Lunelli – Castelbuono, da lontano sembra un astro posato tra i filari: quella cupola di rame, ideata da Arnaldo Pomodoro, non sembra solo un edificio, ma una scultura che respira con la terra.
Pomodoro la chiamava “Il Carapace”, perché doveva rappresentare la longevità e la solidità del vino, come un guscio che protegge un cuore vivo. E quando la luce del tramonto scivola sulle sue curve, sembra davvero pulsare. Lì voglio farti assaggiare un eccellente Sagrantino, profondo e pieno di carattere, che sono certa sarà molto apprezzato da Filippo.
Come ultima tappa ho pensato a Campello sul Clitunno. Le Fonti, con quell’acqua verde e limpida, sono un luogo sospeso tra terra e sogno. In questo periodo dell’anno i pioppi lasciano cadere le loro foglie piano, una alla volta, come se volessero rispettare il silenzio del lago. Si adagiano sull’acqua e restano lì, tremolanti, riflettendo la luce come piccole stelle d’oro.
Ho un’immagine impressa nella memoria, più nitida di qualunque fotografia: io e Giovanni, seduti su una panchina accanto al tempietto. Era tardo pomeriggio, l’aria appena fredda. Lui aveva la mano intrecciata alla mia e non dicevamo nulla. Il mondo, intorno, sembrava essersi fermato — perfino l’acqua, perfino il vento.
E in quel silenzio pieno, Matilde, ho capito che ci sono momenti che non passano mai: restano sospesi come le foglie sull’acqua, pronti a tornare ogni autunno, quando la vita si fa più lenta e il cuore più attento.
Cara Matilde, se il nord dell’Umbria è una carezza di luce e di vino, il sud è una sinfonia d’acqua e pietra.
Vorrei portarti qui, dove il paesaggio si fa più intimo e il silenzio ha il suono dell’acqua che scorre. È un itinerario che io e Giovanni abbiamo fatto qualche anno fa, in un autunno che ricordo ancora come uno dei più belli: poche parole, tanti sguardi, la sensazione di essere parte di qualcosa di più grande.
Siamo partiti dal Lago di Piediluco, le colline si specchiavano nell’acqua e ogni foglia sembrava una pennellata di rame. Giovanni scattava in silenzio, con quella sua pazienza da fotografo innamorato della calma, e io osservavo le increspature leggere che si allargavano come pensieri.
Ricordo il profumo di legna bruciata nell’aria, il lago che si faceva specchio del cielo: Piediluco è così: malinconico e dolce, come un ricordo che non vuole svanire. Da lì possiamo raggiungere facilmente la Cascata delle Marmore, in questo periodo i sentieri sono coperti di foglie gialle, rosse, un tappeto vivo che scricchiola sotto i passi e profuma di umido e di bosco antico.
È come camminare dentro il respiro della terra. Ogni ramo crea un gioco di ombre e riflessi, ogni curva del sentiero apre su scorci che tolgono il fiato — l’acqua che cade fragorosa, le gocce leggere che catturano il sole.
Il foliage, qui, non è solo uno spettacolo per gli occhi: è un’emozione fisica, che ti avvolge. Giovanni diceva sempre che la cascata, d’autunno, non si guarda — si ascolta. E aveva ragione: tra i colori accesi e il rombo dell’acqua, senti la natura che si rinnova, come se anche lei volesse dirci che cambiare è un modo per restare vivi. Dalle Marmore il sentiero prosegue verso Sant’Erasmo, uno dei luoghi più suggestivi del Ternano.
Il cammino sale tra faggi e aceri accesi dal foliage, fino a un pianoro che custodisce le mura poligonali di un antico insediamento umbro del VI secolo a.C. — massi ciclopici che parlano ancora al silenzio e poco più in alto, una piccola chiesa romanica dedicata a Sant’Erasmo domina la valle. Proseguendo ancora, attraverso due sentieri che si snodano tra i faggi, si arriva a Monte Torre Maggiore, la vetta più alta della montagna ternana.
Da quassù, lo sguardo abbraccia un orizzonte vastissimo: la Valnerina, i colli che digradano verso Spoleto, la dorsale appenninica che si perde nella foschia.
È uno di quei punti in cui la terra e il cielo sembrano toccarsi, e il cuore si apre con loro.
Scendendo, ci fermeremo a Stroncone, uno dei borghi più eleganti e silenziosi del Ternano. Le case di pietra, i portali antichi, le scale che si arrampicano come pensieri. Qui non possiamo non fermarci alla cantina La Palazzola, dove Stefano Grilli ha trasformato una collina di Stroncone in un piccolo universo del vino.
Eclettico, visionario, quasi un alchimista della vigna, Grilli è il profeta di spumanti e passiti che raccontano la terra come una lingua antica.
Nel suo laboratorio d’aria e di luce, ha riscoperto metodi ancestrali: tra le sue creazioni più affascinanti ci sono il Blanc de Blanc Brut, luminoso, elegante, con note di agrumi e crosta di pane, e il Rosato Brut, che profuma di frutti rossi e mandorla fresca.
Vini che non si limitano a essere bevuti, ma si ascoltano: ogni sorso ha un ritmo, una voce, una verità.
Da Stroncone la strada prosegue verso le Gole del Nera in un corridoio di luci e colori, dal verde degli ulivi al rosso ramato dei boschi dove il fiume scorre lento, e l’autunno disegna i contorni delle montagne come un pittore innamorato del silenzio. Qui da Otricoli a Calvi dell’Umbria è un tripudio di tonalità calde al tramonto, quando le pietre si tingono di miele e la luce diventa liquida. E poi c’è Stifone, il borgo sospeso sull’acqua: le foglie dei faggi e dei salici, ormai gialle, arancioni e rosse, si specchiano nelle acque turchesi del Nera, creando un contrasto che pare inventato da un pittore. Ma Stifone non è solo bellezza naturale: le sue sponde custodiscono la memoria di antichi cantieri navali romani, dove le barche venivano costruite e varate nel fiume.
Tornando verso casa lungo il Cammino dei Borghi Silenti, la strada sale dolcemente verso Melezzole, un borgo che sembra custodire l’essenza stessa dell’autunno umbro. I castagneti qui si aprono come teatri naturali: l’aria profuma di legna e terra umida, e tra le foglie si nascondono ricci e castagne appena cadute.È una sosta che merita il viaggio, soprattutto se ci si ferma al ristorante Semiramide, un luogo semplice ma pieno di grazia, dove l’accoglienza è autentica e i sapori restano impressi come una carezza.
Non vedo l’ora di farti assaggiare i loro fiori di zucca ripieni, delicati e fragranti, il formaggio fresco con prosciutto crudo locale, e le ciriole alla ternana.
Seduti vicino alla finestra, con la luce che filtra tra le montagne e il silenzio che accompagna ogni boccone, si capisce davvero perché certi luoghi valgano un viaggio.
Cara amica mia, questa Umbria non si attraversa: si respira. È fatta di gesti piccoli e di silenzi che durano più delle parole. Ogni foglia che cade ci ricorda che la bellezza non va inseguita, ma riconosciuta quando arriva — come l’amore, come l’amicizia, come la luce del tramonto su un bicchiere di vino.
Forse è questo che volevo dirti: non serve fuggire lontano per sentirsi felici. Basta un weekend di ottobre, una strada tra i boschi, e la persona giusta accanto.
Ti aspetto
Tua Luisella







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