Foto: Regione Umbria – Ufficio Stampa
Tra proclami e cerimonie a Palazzo Donini, solo 23 imprese umbre entrano nel programma regionale “Luoghi di lavoro che promuovono salute”. Il resto del tessuto produttivo, fatto di piccole e micro imprese, continua a navigare senza strumenti né sostegno.
La Regione Umbria ha celebrato, con toni trionfali, 23 imprese che si sono distinte nel programma “Luoghi di lavoro che promuovono salute”. Una cerimonia a Palazzo Donini, con l’immancabile foto di gruppo e il linguaggio levigato dei comunicati istituzionali.
Dietro, però, resta la solita fotografia di un’Umbria che parla di salute ma dimentica il lavoro.
Perché se davvero la salute dei lavoratori fosse “il motore dell’economia”, come ha dichiarato la presidente Stefania Proietti, la Regione avrebbe il dovere di tradurre la retorica in misure concrete: incentivi, sgravi, percorsi formativi, e un sostegno vero alle piccole e micro imprese, che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo umbro.
Lo 0,03% del sistema produttivo premiato: il resto invisibile
Le cifre raccontano la sproporzione: 23 aziende su 77.700 totali — 59.300 a Perugia e 18.400 a Terni — equivalgono a meno dello 0,03% del tessuto economico regionale.
Una goccia nel mare, che rischia di servire più all’autocompiacimento politico che alla costruzione di un reale modello di prevenzione diffuso.
Perché nei laboratori, nei cantieri, negli studi e nelle botteghe umbre, la salute non è un tema da conferenza: è una quotidiana corsa a ostacoli tra scadenze, carichi di lavoro e precarietà.
Meno imprese, più fragilità
In dieci anni l’Umbria ha perso 3.729 imprese attive, un calo tre volte superiore alla media nazionale. E quando un’impresa chiude, non scompare solo un’attività economica: si spegne una comunità di lavoro, si indeboliscono legami sociali, aumenta la solitudine.
In questo contesto, parlare di workplace health promotion senza affrontare la questione strutturale del lavoro precario, dei salari bassi e dell’assenza di welfare territoriale suona come un lusso linguistico, un’operazione di immagine.
Premiare non basta: serve una politica industriale della salute
Il modello One Health è una visione corretta, ma in Umbria resta sulla carta. Perché la salute dei lavoratori non si tutela con le etichette, ma con una strategia capillare: sicurezza, orari sostenibili, accesso a servizi sanitari efficienti, incentivi alla formazione e un sostegno concreto alle imprese che investono in benessere reale, non solo in “buone pratiche”.
Le 23 aziende premiate meritano riconoscimento, ma non possono essere usate come alibi.
Se la Regione vuole davvero promuovere salute, deve spostare il baricentro dalle cerimonie ai territori, e cominciare da ciò che manca:
- un fondo regionale permanente per la prevenzione nei luoghi di lavoro,
- incentivi fiscali e consulenze gratuite per le piccole imprese,
- una rete capillare di sostegno sanitario e psicologico per lavoratori e imprenditori,
- un monitoraggio pubblico e trasparente sull’efficacia del programma.
Solo così la salute potrà diventare una politica industriale e non una passerella istituzionale.
Finché questo non accadrà, le imprese umbre continueranno a sentirsi sole — e il benessere resterà, come troppo spesso in Umbria, un privilegio di pochi.
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