La curatrice Biba Giacchetti, da trent’anni al fianco del maestro, ci accompagna dentro il progetto più intimo del fotografo americano, nato da un nuovo lavoro nel suo archivio e da un legame profondo con questa terra.
Se la fotografia è uno strumento di conoscenza prima ancora che di rappresentazione, McCurry sembra averne fatto, da sempre, una forma di meditazione visiva. Nell’Umbria ritrova un ritmo diverso, più umano, quasi liturgico. A dare le chiavi di lettura più autentiche di questa nuova esposizione è proprio la curatrice Biba Giacchetti, da trent’anni al fianco del fotografo.
L’intervista che segue è, di fatto, il cuore della mostra.
Intervista a Biba Giacchetti, curatrice della mostra “Steve McCurry – Umbria”
D: Questa mostra ha qualcosa di diverso rispetto ai precedenti lavori di McCurry sull’Umbria. In cosa consiste la novità?
Biba Giacchetti: La grande novità è che, per la prima volta, Steve è tornato a riguardare tutto il suo archivio dedicato all’Umbria. Ha rivisto l’intero progetto e ha scelto le fotografie che ama di più, ognuna per un motivo diverso: alcune per le esperienze personali vissute in quei luoghi, altre per la pura bellezza dell’immagine, altre ancora perché in quegli scatti sente di riconoscersi profondamente.
Il primo progetto aveva dei “paletti” istituzionali, perché era nato su incarico della Regione e doveva raccontare l’Umbria in modo sistematico. Questa, invece, è una mostra molto più personale: è lo sguardo libero di McCurry su una terra che gli è rimasta dentro.
D: Torniamo indietro di dieci anni. Come nacque il progetto originario?
Biba Giacchetti: Era il 2012-2013, e tutto partì da una grande retrospettiva che avevamo portato alla Galleria Nazionale dell’Umbria dopo il successo di Milano. La Regione rimase colpita dall’impatto che McCurry ebbe sulla città: un fotografo di fama mondiale che improvvisamente attirava attenzione su Perugia come non era mai accaduto.
Da lì venne l’idea — molto illuminata, lasciamelo dire — di affidargli un racconto completo dell’Umbria. Un caso quasi unico: una regione che decide di farsi raccontare da una star mondiale.
E il risultato fu un affresco ricchissimo, pieno di sfumature: non solo gli eventi noti come Umbria Jazz o la Corsa dei Ceri, ma anche le tessiture, i borghi, i paesaggi segreti.
D: Dopo quella prima esperienza, McCurry è tornato in Umbria
Biba Giacchetti: Sì, più volte. Alcune fotografie in mostra sono del 2022 e non erano mai state viste prima: né stampate né esposte. Quando siamo tornati a lavorare su questo materiale, abbiamo scoperto piccole gemme che erano rimaste nel cassetto, come l’immagine scelta per la copertina della mostra.
Questa esposizione è davvero il suo sguardo più intimo: il suo “quadro personale” su questo territorio.
D: Che valore ha per Montefalco ospitare questa mostra, soprattutto nel periodo natalizio?
Biba Giacchetti: È un valore enorme. Montefalco si ritrova al centro di una narrazione che non è solo paesaggistica, ma anche umana. Steve ha un talento incredibile nel cogliere ciò che è nascosto: un gesto quotidiano, un volto, un mestiere antico. Che sia un ristoratore o una giovane donna nei costumi tradizionali, lui riesce sempre a evocare quell’essenza segreta che appartiene tanto alle persone quanto all’Umbria.
D: McCurry è amatissimo dal pubblico, ma spesso non si riflette sul suo rapporto umano con i luoghi. Com’è stato qui?
Biba Giacchetti: Dobbiamo ricordarci che, oltre a essere un grande fotografo, Steve è un uomo. Viaggia di continuo, vive in un frastuono mentale perenne… e l’Umbria gli ha dato qualcosa che gli mancava. Qui si è rilassato: il vino, il cibo, l’accoglienza autentica delle persone lo hanno toccato profondamente.
Credo che con questi luoghi lui abbia avuto una risonanza diversa, quasi un’armonia interiore. E questo si sente nelle immagini.
D: Tu lavori con lui da trent’anni. Come hai seguito l’evoluzione di questo progetto?
Biba Giacchetti: Ho avuto la fortuna — professionale e personale — di seguire Steve fin dal primo viaggio in Umbria. Ho coordinato l’intero progetto per la Regione, dalla selezione delle immagini all’organizzazione delle mostre.
In questo nuovo capitolo l’ho affiancato ancora, aiutandolo a tirare fuori scatti che forse lui stesso aveva dimenticato, basandomi anche sui miei ricordi dei luoghi che avevamo attraversato insieme.
D: Esiste un filo conduttore nella mostra?
Biba Giacchetti: No, e proprio perché l’Umbria non ha un filo conduttore unico. È una regione poliedrica: c’è la natura, il cibo, il vino, la spiritualità, l’arte antica e quella contemporanea, la musica di Spoleto, la vita lenta dei borghi.
Non è una terra “univoca”: è un universo.
E in parte — per fortuna — è ancora inesplorato.
In un’Italia dove città come Firenze o Venezia hanno perso la loro autenticità, l’Umbria rimane un luogo vero. E questo Steve l’ha colto benissimo.
L’Umbria come geografia interiore
La nuova mostra di McCurry non si limita a documentare: traduce il paesaggio in stato d’animo, i volti in memoria collettiva, i riti in identità.
Questo ritorno a Montefalco non è un esercizio celebrativo, ma una dichiarazione di appartenenza: la conferma che l’Umbria possiede ancora una qualità rara nella contemporaneità visiva — l’autenticità.









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