Dalla sostenibilità alla valorizzazione del paesaggio, Maria Paola Pucci spiega come una piccola impresa possa custodire l’identità dell’Umbria e guardare al futuro con visione e passione.
Nel cuore verde dell’Umbria, tra i colli di Massa Martana, il Frantoio Pucci custodisce una tradizione che profuma di storia, territorio e famiglia. Fondata nel 1976, l’azienda è oggi un punto di riferimento per la produzione di olio extravergine di oliva di alta qualità, frutto di passione, tecnica e legame con la terra. Ne abbiamo parlato con Maria Paola Pucci, responsabile marketing dell’azienda di famiglia. Maria Paola ci ha raccontato con lucidità e affetto la storia e le sfide di una piccola impresa familiare immersa nel cambiamento.
L’identità territoriale
Il Frantoio Pucci nasce a Massa Martana, nel cuore dell’Umbria più autentica. Quanto conta l’identità territoriale nella vostra produzione?
L’attività di ogni frantoio risponde alla necessità di ottenere dalle olive prodotte sul territorio l’olio extravergine di oliva. Pertanto anche il nostro frantoio, rispondendo a questa domanda economica, è di conseguenza necessariamente e strettamente legato al territorio ed in funzione della produzione olivicola del territorio.
Massa Martana, prima della “gelata” del 1957 che distrusse tutta la produzione olivicola, vedeva la presenza di molti piccoli frantoi, anche nel centro storico. All’epoca le tecnologie erano rudimentali, così come la sicurezza e l’igiene. Dopo la ripresa, rimasero attivi solo due frantoi: il nostro iniziò l’attività nel 1976, con il sistema tradizionale di macina in pietra e presse. Negli anni ’90 siamo passati al sistema continuo, aggiornato costantemente per migliorare la qualità del prodotto.
Ricorda mio padre che un tempo la stagione olearia non iniziava prima dell’8 dicembre: si cercava più resa, anche a scapito della qualità. Oggi la tendenza si è ribaltata: meno quantità, più eccellenza.
Essere un’impresa familiare per il Frantoio Pucci significa unire lavoro e vita, trasformando la stagione olearia in un momento di intensa partecipazione collettiva. Durante i quaranta giorni di molitura, il frantoio diventa un microcosmo di relazioni, profumi e rituali: si assaggia l’olio sulle bruschette, si discute delle rese, si condivide la passione per un prodotto che è parte della propria identità. È un’esperienza che va oltre l’economia e restituisce un senso autentico di comunità, impossibile da ritrovare nelle grandi realtà industriali.
Tradizione e Innovazione
“La tradizione, per la nostra famiglia – spiega Maria Paola – è un patrimonio di saperi e valori trasmesso di generazione in generazione, ma anche una scelta quotidiana che orienta ogni innovazione. Modernizzare senza snaturare, migliorare la qualità preservando l’essenza del mestiere: è questo l’equilibrio che permette al frantoio di restare competitivo senza perdere l’anima”.
La tecnologia, per il Frantoio Pucci, è una risorsa indispensabile: il passaggio al sistema continuo ha reso la lavorazione più efficiente e sicura, eliminando molti rischi di compromissione del prodotto. Tuttavia, l’innovazione va gestita con equilibrio: non tutto ciò che è moderno è davvero utile. “Preferiamo macchinari affidabili e semplici, su cui possiamo intervenire direttamente” spiega Maria Paola Pucci, sottolineando come la vera innovazione serva a migliorare la qualità, non a complicare il lavoro.
Tra i fattori principali che influenzano la produzione di olio d’oliva il clima, soprattutto nell’ultimo decennio, ha creato grosse ai produttori italiani: “Dal 2014 abbiamo visto stagioni difficili: primavere sfavorevoli, estati umide, gelate o calure eccessive – la giovane imprenditrice – tutto questo incide sulla qualità e sulla quantità, creando difficoltà nella programmazione. Le cultivar principali della zona sono leccino, frantoio e moraiolo. Tradizionalmente il nostro olio nasce dal mix delle tre, ma oggi è difficile mantenere il giusto equilibrio.
L’olio umbro è senza dubbio una delle eccellenze più rappresentative del territorio, ma — come sottolinea Maria Paola Pucci — ‘non riesce ancora davvero a fare sistema‘ con le altre produzioni agroalimentari regionali. È un prodotto centrale in ogni cucina, ma raramente protagonista nelle strategie di promozione collettiva. Mancano sinergie tra frantoi, cantine, aziende agricole e ristorazione: ognuno racconta la propria storia, ma troppo spesso in modo isolato. Eppure, l’Umbria avrebbe tutte le carte in regola per creare un racconto unitario, capace di valorizzare l’olio come simbolo identitario e motore di turismo esperienziale.
In questo senso, social network e turismo enogastronomico rappresentano strumenti fondamentali. L’esperienza diretta, il contatto con la materia prima, la possibilità di vedere, toccare e assaggiare l’olio nel luogo dove nasce sono le chiavi per conquistare e fidelizzare il pubblico. “Le visite in frantoio e le degustazioni non sono solo marketing — spiega Pucci — ma momenti autentici di cultura e relazione”.
L’azienda guarda anche al mercato estero, dove l’olio umbro è sinonimo di eccellenza e autenticità. “I consumatori stranieri ne apprezzano la purezza e la storia — racconta — ma il mercato del Centro-Nord Italia resta il nostro principale bacino di riferimento, con una clientela affezionata e competente.”
L’olio, però, non è solo un prodotto: è un frammento di paesaggio e di identità. Il Frantoio Pucci si considera custode di entrambe. “Lavorare in armonia con la natura — dice — significa proteggere la cultura dell’olivo e restituire valore alla comunità.” Da questa consapevolezza nasce l’interesse crescente per l’oleoturismo, che a Massa Martana assume un sapore unico: l’azienda si trova infatti a pochi passi dall’antica via Flaminia, dalle catacombe umbre e dal ponte romano Fonnaia. Un luogo dove storia, natura e tradizione si intrecciano, creando le condizioni ideali per itinerari che raccontino “la Romanità dell’olio” e la continuità di un sapere millenario.
Anche il rapporto con ristoratori e agriturismi locali si sta rafforzando. Il Frantoio Pucci ha creato una linea di prodotti “antirabbocco” pensata appositamente per la ristorazione, con risultati positivi ma ancora margini di crescita. “C’è interesse e attenzione — conclude Pucci — ma serve più collaborazione, più promozione condivisa. L’Umbria ha tutte le potenzialità per diventare una grande destinazione dell’olio, a patto che impari a raccontarsi come un’unica voce.”
Sostenibilità e futuro dell’olio umbro
Nel dialogo con Maria Paola Pucci emerge con chiarezza una visione concreta e responsabile della sostenibilità: per il Frantoio Pucci non è uno slogan, ma un principio operativo quotidiano. “Gestiamo in modo circolare ogni fase della produzione — spiega — perché anche ciò che resta può diventare risorsa.” La sansa, residuo della spremitura, viene conferita a un sansificio che la trasforma in nocciolino per alimentare l’impianto di riscaldamento del frantoio, chiudendo così un ciclo virtuoso a impatto zero. Le acque reflue, dopo essere state raccolte in apposite vasche, vengono invece riutilizzate per la fertirrigazione agricola, in conformità con la normativa, riducendo gli sprechi e restituendo alla terra parte di ciò che le è stato donato.
Un modello che dimostra come anche una piccola impresa possa praticare un’economia circolare reale, in cui sostenibilità, efficienza e rispetto ambientale convivono senza compromessi.
Guardando al futuro, Pucci invita a una riflessione più ampia sul ruolo dell’Umbria nel panorama oleario italiano. “La nostra regione rappresenta appena il 2% della produzione nazionale, ma la qualità è tra le più alte d’Italia. Dovremmo puntare sull’innovazione, sull’ampliamento degli impianti olivicoli e sulla digitalizzazione delle imprese, per migliorare la visibilità e la competitività.”
La certificazione DOP resta una garanzia di eccellenza, ma le monocultivar — oli prodotti da una sola varietà di oliva — stanno conquistando nuove fasce di mercato, offrendo ai consumatori esperienze sensoriali più definite e identitarie. “Alla fine — afferma — un buon extravergine è il miglior ambasciatore di un territorio, il modo più autentico per raccontarne l’anima.”
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