L’elezione di Donald Trump promette un cambiamento radicale nelle politiche commerciali degli Stati Uniti, con la reintroduzione dei dazi doganali. Quali saranno le conseguenze per l’economia globale, per l’Italia e per l’Umbria, una regione che rischia di vedere compromessi i suoi prodotti tipici e il turismo?
Trump e il ritorno del protezionismo
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha riacceso il dibattito mondiale sulle politiche commerciali e, in particolare, sui dazi doganali. Trump, sin dalla campagna elettorale, ha puntato il dito contro il “libero scambio sfrenato”, sostenendo che gli accordi internazionali esistenti abbiano danneggiato gli Stati Uniti, favorendo la delocalizzazione delle aziende e creando una massiccia perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero.
La nuova strategia economica di Trump
Nel suo discorso di vittoria, il neo presidente ha ribadito il suo impegno a “riportare l’America al centro del commercio mondiale” attraverso una revisione drastica delle politiche economiche. Questo include la reintroduzione di dazi per proteggere l’industria nazionale da quella che Trump considera concorrenza sleale. Cina e Messico, in particolare, sono stati bersagliati dalle sue promesse elettorali di introdurre tariffe punitive per scoraggiare le importazioni a basso costo che, secondo il presidente, stanno distruggendo i posti di lavoro americani.
Trump 2.0: una strategia ancora più aggressiva
Con la rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, anche in Europa potrebbe tornare a soffiare il vento del protezionismo. Il Trump 1.0, quello che ha guidato la Casa Bianca tra il 2016 e il 2020, ha imposto dazi su merci per circa 380 miliardi di dollari, quasi tutti a carico della Cina; a essere colpite, anche se in misura minore, erano stati anche acciaio e alluminio in arrivo dall’UE. Il Trump 2.0, che entrerà formalmente in carica il 20 gennaio, potrebbe essere ancora più aggressivo su questo fronte, avendo promesso dazi fino al 20 per cento su tutti i prodotti importati dall’estero: «Al di fuori di amore e religione – ha detto giorni fa in un comizio – dazio è la parola più bella che ci sia».
L’impatto dei dazi sull’economia globale
Tuttavia, i dazi previsti da Trump non rappresentano solo una sfida economica per i partner commerciali degli Stati Uniti, ma anche un test per il sistema globale del commercio. Un’America più protezionista potrebbe indebolire gli accordi commerciali già in vigore, come il NAFTA, che Trump ha definito come “il peggior accordo mai stipulato”, mettendo in discussione la stessa tenuta del sistema basato sulla globalizzazione.
COSA è IL NAFTA?
NAFTA, acronimo di North American Free Trade Agreement, è l’accordo di libero scambio stipulato nel 1994 tra Stati Uniti, Canada e Messico. L’obiettivo del NAFTA era quello di eliminare le barriere doganali e facilitare il commercio tra i tre paesi, creando una delle più grandi aree di libero scambio al mondo. Grazie al NAFTA, molte tariffe e restrizioni commerciali tra i paesi firmatari sono state progressivamente abolite, favorendo la crescita economica e il flusso di beni e servizi. Tuttavia, l’accordo è stato anche oggetto di critiche da parte di chi sostiene che abbia favorito la delocalizzazione delle aziende e ridotto la protezione dei lavoratori, specialmente negli Stati Uniti. Trump ha criticato il NAFTA durante la sua campagna elettorale, definendolo dannoso per l’economia americana e promettendo di rinegoziarlo per ottenere condizioni più favorevoli per gli Stati Uniti.
Le conseguenze per Italia e Germania
Che Trump riesca a portare fino in fondo i suoi piani è da vedere, ma il rischio di una guerra commerciale che coinvolga USA, UE e Cina è reale. L’Italia, in particolare, è uno dei paesi più esposti alla domanda statunitense: dall’agroalimentare alla meccanica, fino all’automotive, alla chimica e non solo, sono molti i settori potenzialmente coinvolti. Come logico, i dazi renderebbero più costoso per le aziende americane importare i prodotti europei. Il rischio, in caso di guerra generalizzata, è anche che i prodotti cinesi senza più sbocco verso gli USA arrivino nell’UE, mettendo ancora più in difficoltà il Vecchio continente. Secondo la maggior parte degli economisti, una tariffa del 10 per cento potrebbe portare a una riduzione del PIL nell’eurozona dell’1 per cento; per i più pessimisti dell’1,5 per cento entro il 2028. Segni meno che potrebbero ovviamente avere un impatto anche sul fronte occupazionale.
A pagarne le conseguenze più salate, in ogni caso, saranno i Paesi più votati alle esportazioni, a cominciare proprio da Italia e Germania. “L’area euro ha un avanzo commerciale con gli Stati Uniti di 160 miliardi di dollari, e di questi 60 miliardi sono dell’Italia e 40 della Germania”, ha detto il capo economista di Intesa Sanpaolo Gregorio De Felice, alla presentazione del Rapporto sui settori industriali redatto dalla banca insieme a Prometeia. “Sarebbero i due Paesi più colpiti da un’introduzione dei dazi”. Quanto colpiti? Stimare gli effetti a catena, diretti e indiretti, di una misura del genere è molto difficile. Un primo calcolo molto basilare fatto dalla stessa Prometeia, proiettando un aumento del 10% su tutte le importazioni, stima un’imposizione extra alla dogana per i beni Made in Italy di 9 miliardi di dollari.
I settori più vulnerabili
Tra i settori più colpiti ci sarebbero alcuni pilastri della nostra manifattura, come la meccanica, la farmaceutica e l’alimentare, oltre alla moda, che già attraversa un periodo difficile. Dopo la pandemia, il peso del mercato americano per i nostri esportatori è cresciuto in maniera decisa, superando la Francia al secondo posto assoluto e puntando addirittura a uno storico sorpasso al primo posto nei confronti della Germania. Le aziende che vendono oltre Atlantico si troverebbero di fronte a un dilemma: assorbire il costo extra, provando a difendere la loro quota di mercato, o scaricarlo sui clienti. In ogni caso, una scelta penalizzante.
Implicazioni per i consumatori americani
La scelta di adottare dazi doganali potrebbe avere delle conseguenze pesanti non solo sulle relazioni diplomatiche, ma anche sul portafoglio del consumatore medio americano. I prezzi dei beni di consumo, molti dei quali importati, potrebbero subire un’impennata. Inoltre, il rischio di una guerra commerciale non va sottovalutato: partner commerciali come l’Unione Europea e la Cina hanno già lasciato intendere che potrebbero rispondere a loro volta con dazi simmetrici, portando ad un’escalation che finirebbe per danneggiare tutti.
Il caso Umbria: un impatto locale significativo
Anche l’Italia si trova a dover affrontare possibili ripercussioni economiche dalle politiche protezionistiche di Trump. Con un’economia fortemente orientata all’export, l’Italia potrebbe vedere le sue esportazioni verso gli Stati Uniti significativamente ostacolate. Settori chiave come l’agroalimentare e il manifatturiero, che fanno del Made in Italy un marchio di eccellenza a livello mondiale, rischiano di subire un colpo duro se i dazi dovessero entrare in vigore. In particolare, le esportazioni di prodotti di alta qualità come il vino, l’olio d’oliva e la moda potrebbero diventare meno competitive rispetto a quelle di altri paesi che potrebbero godere di accordi più favorevoli.
Dati sull’export umbro
Per quanto riguarda l’Umbria, una regione caratterizzata da una forte tradizione agroalimentare e artigianale, l’impatto dei dazi potrebbe risultare ancora più significativo. L’Umbria, famosa per i suoi prodotti tipici come il tartufo, il vino Sagrantino e l’olio extravergine d’oliva, potrebbe vedere ridursi la sua capacità di esportare verso il mercato statunitense. Molte piccole e medie imprese umbre, che già operano in un contesto competitivo e con margini limitati, potrebbero trovarsi di fronte a difficoltà ulteriori nel mantenere la loro presenza sui mercati internazionali.
I dati certi sono quelli dell’interscambio commerciale tra USA e imprese umbre. Secondo i numeri della banca dati Istat, nel 2023 le aziende della regione hanno venduto negli Stati Uniti beni per quasi 700 milioni di euro; in soldoni, il 12 per cento del valore totale dell’export umbro. Non tutti i settori chiaramente sono esposti allo stesso modo. Dei 668,7 milioni di euro, ben 276 riguardano macchinari e apparecchiature, 190 tessile e abbigliamento e oltre 87 prodotti alimentari, bevande e tabacco, ai quali aggiungere gli 11,2 milioni che fanno capo ai prodotti agricoli. E proprio l’export dell’agroalimentare è uno dei settori per i quali l’Italia è più esposta.
Il rischio per le imprese umbre
Oltre 27 milioni è il valore dei mezzi di trasporto esportati verso gli USA, 12 milioni dei prodotti chimici e altrettanto di quelli in gomma e materie plastiche, 13 milioni di quelli in legno e 15 milioni di quelli in metallo (vedi alla voce Arvedi-Ast) e via via, con cifre più basse, tutti gli altri. Stando invece ai numeri aggiornati al secondo trimestre di quest’anno, l’Umbria ha esportato negli States merci per 370 milioni. Settori che dunque vedono comparire ulteriori nubi all’orizzonte. Uno scenario di fronte al quale ovviamente stride il giubilo di qualche esponente e partito della destra umbra per la vittoria di Trump; esponenti e partiti che non più tardi di qualche ora fa applaudivano gli interventi durante l’assemblea annuale di Confindustria Umbria. Imprese che poi dovranno fare i conti con i dazi.
Turismo umbro e ripercussioni indirette
Inoltre, il turismo, che rappresenta un’altra risorsa fondamentale per l’Umbria, potrebbe risentire indirettamente delle tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e l’Europa. Un eventuale indebolimento dell’economia globale o un aumento delle tensioni potrebbe ridurre il flusso di turisti americani verso l’Italia, con conseguenze negative per l’intera filiera turistica regionale.
Implicazioni globali e considerazioni finali
Ma in un mondo globalizzato le dinamiche scatenate da un muro tariffario sarebbero molto più complesse di quelle puramente doganali. Senza dubbio il protezionismo trumpiano avrebbe un effetto negativo sulla crescita americana, prima economia mondiale, e di conseguenza sulla crescita globale. Un possibile rafforzamento del dollaro però mitigherebbe entrambi: nelle stime di Prometeia, il PIL USA perderebbe tre decimi entro il terzo anno dall’introduzione delle tariffe, mentre quello globale un decimo. Un impatto non così drammatico, se non fosse che il “fattore dollaro” renderebbe ancora più pesanti gli effetti sul commercio globale, che perderebbe un punto netto. Tutto questo poi non considera eventuali ritorsioni dei Paesi colpiti. Alcune stime della banca d’affari Goldman Sachs, che invece integrano l’escalation e la conseguente esplosione del fattore incertezza, parlano di un costo per l’Europa ben più alto, di un punto di PIL. I Paesi più colpiti, sempre gli stessi: i grandi esportatori Germania e Italia.
Questa svolta protezionistica ha anche il potenziale di creare una frattura all’interno degli Stati Uniti stessi, tra coloro che vedono nei dazi una forma di tutela del lavoro americano e coloro che temono che un approccio del genere finirà per isolare il paese dal resto del mondo, ostacolando innovazione e competitività.
Trump, con la sua retorica incendiaria e un programma commerciale radicalmente diverso dai suoi predecessori, sta cercando di restituire un senso di sicurezza economica a quella fascia di elettorato che si è sentita abbandonata dalla globalizzazione. Resta da vedere, però, se i dazi potranno veramente risolvere problemi complessi come la perdita di posti di lavoro dovuta all’automazione e alla trasformazione del tessuto economico globale, o se si riveleranno invece un’arma a doppio taglio che finirà per danneggiare gli stessi cittadini che oggi festeggiano la sua vittoria.
Le prossime settimane: cosa aspettarsi?
Le prossime settimane saranno cruciali per comprendere quale direzione prenderà l’economia mondiale sotto la guida di Trump e se i suoi piani sui dazi diventeranno realtà o se verranno moderati da un Congresso che potrebbe opporsi alle sue misure più estreme.
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